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Enartis News – Ottenere la stabilità proteica fin dall’inizio

La stabilità proteica è sempre stata una sfida. Da trent’anni a questa parte, in tutto il mondo si osserva una tendenza all’aumento dei livelli di instabilità proteica dei vini bianchi e un generale incremento dei dosaggi di bentonite necessari per la loro stabilizzazione. La spiegazione di tale fenomeno può essere ricercata nel cambiamento climatico e nella diversa gestione dei vigneti, attualmente più orientata alla ricerca della qualità che della quantità.

Oggi, la dose di bentonite necessaria per raggiungere la stabilità proteica può variare da un minimo di 0,1 g/L fino a 1-3 g/L per varietà aromatiche come il Sauvignon Blanc. Alcuni vini, in particolare quelli con pH elevato o quelli ottenuti da uve coltivate in climi caldi, possono richiedere dosaggi anche più elevati.

Seppur efficace, l’utilizzo di bentonite causa alcuni problemi. In primo luogo, non è un trattamento selettivo solo per le proteine e può influire negativamente sulla qualità organolettica del vino di cui rimuove parte dei composti aromatici. In secondo luogo, la chiarifica con bentonite comporta una perdita di vino stimabile tra il 3 ed il 5% del volume trattato, che rappresenta il costo principale del trattamento. Infine, la bentonite esausta costituisce una parte non trascurabile dei rifiuti da smaltire.

Enartis ha tracciato delle linee guida per raggiungere la stabilità proteica attraverso l’adozione di pratiche più rispettose della qualità del vino, meno onerose economicamente e più sostenibili per l’ambiente.

STRUMENTI PER OTTENERE LA STABILITÀ PROTEICA

Bentonite
Nonostante i problemi che derivano dalla sua applicazione, la chiarifica con bentonite rimane la pratica più comune ed efficace per la stabilizzazione proteica. Per questo vale la pena andare più a fondo nella conoscenza di questa sostanza.
Nel mercato, esistono diversi tipi di bentonite e non tutti ugualmente efficaci. Le loro proprietà e applicazioni dipendono soprattutto dalla natura del principale catione scambiabile (tabella 1).
Anche la presenza di impurità (quarzo e minerali diversi dalla montmorillonite) o di particelle di grandi dimensioni che possono danneggiare le attrezzature della cantina (filtri, membrane, pompe, centrifughe, ecc.), rende una bentonite più o meno adatta all’applicazione enologica.

Un altro criterio che deve guidare la scelta della bentonite da utilizzare è la degustazione. Gli enologi tendono a considerare la bentonite come uno strumento tecnico per rimuovere le proteine, privo di effetto organolettico. In realtà, la bentonite è il coadiuvante enologico che viene aggiunto al vino in quantità maggiore (dose litro media = 0,5-1g/L) dopo i legni alternativi. Essa ha un forte impatto sensoriale e la scelta di utilizzare un prodotto piuttosto che un altro può fare una grande differenza per la qualità del vino trattato.

Quando usare la bentonite?
Nei vini che richiedono alti dosaggi di bentonite, la domanda più frequente è se sia meglio trattare il mosto o il vino. Il mosto è più ricco di proteine rispetto al vino e questo ovviamente riduce l’effetto del trattamento.
Considerando, però, che la conseguenza più negativa della bentonite è quella di ridurre la qualità aromatica del vino, è preferibile trattare il mosto.
Nel mosto, i composti aromatici sono per lo più presenti in forma legata, meno adsorbibile dalla bentonite. Inoltre, il trattamento a mosto, risparmia gli aromi prodotti durante la fermentazione.

COME RIDURRE LA BENTONITE?

Anche se ancora non esiste un’alternativa conveniente ed altrettanto efficace, l’uso di tannini, mannoproteine ed enzimi può aiutare a ridurre il dosaggio di bentonite e a minimizzarne gli effetti negativi.

Tannini
I tannini hanno la capacità di reagire con le proteine e di farle precipitare. Tra le diverse classi di tannini enologici, i condensati (tannini d’uva, quebracho e altri legni esotici) sono i più reattivi (tabella 2). Anche i tannini gallici ed ellagici possono essere usati per questa applicazione.

L’efficacia del tannino nella stabilizzazione proteica è molto inferiore rispetto alla bentonite.
Tuttavia, piccole aggiunte a partire dall’inizio dalla fermentazione, possono aiutare a ridurre la quantità di proteine instabili e allo stesso tempo contribuire alla protezione antiossidante del colore e dei composti aromatici. Per migliorare la stabilità proteica, è meglio aggiungere il tannino sin dalle prime fasi della fermentazione perché il dosaggio può essere importante (fino a 10-15 g/hL) senza il rischio di alterare il profilo sensoriale del vino. In prossimità dell’imbottigliamento, invece, sono possibili solo piccole aggiunte e di conseguenza l’effetto stabilizzante è limitato.

Mannoproteine di lievito
È noto che l’affinamento dei vini sulle fecce fini permette di ridurre la dose di bentonite necessaria per la stabilizzazione proteica. L’azione stabilizzante sembra dovuta alle mannoproteine che vengono rilasciate durante la fermentazione o per autolisi durante l’affinamento. In effetti, è dimostrato che le mannoproteine sono in grado di prevenire la precipitazione proteica.
Il meccanismo di funzionamento è ancora poco chiaro: possono proteggere le proteine dalla denaturazione termica o, una volta denaturate, impedire la formazione di grandi aggregati insolubili.
Per accrescere il contenuto di mannoproteine e il loro effetto stabilizzante, si può ricorrere all’uso di derivati di lievito durante la fermentazione o l’affinamento del vino.

Enzimi
Raggiungere la stabilità proteica con l’uso di enzimi è una prospettiva particolarmente interessante perché riduce al minimo le perdite di vino e di qualità. A partire dagli anni ‘50, la ricerca si è concentrata sul trovare proteasi in grado di distruggere le
proteine in condizioni enologiche. La difficoltà nell’adottare questa soluzione è legata al fatto che le proteine ritenute responsabili dell’instabilità del vino, chitinasi e taumatina, nella loro forma nativa sono molto resistenti all’azione delle proteasi. Infatti, si è osservato che un trattamento termico del mosto come una flash-pastorizzazione capace di alterare la struttura globulare delle proteine, rende il trattamento con proteasi molto più efficace. Tuttavia, anche nelle normali condizioni enologiche, alcune proteasi acide sono capaci di ridurre il dosaggio di bentonite del 20-25%.

ENARTISZYM AROM MP

Preparazione enzimatica microgranulata per la macerazione delle uve bianche. Usato in macerazione, le attività secondarie di tipo emicellulasico e proteasico degradano profondamente le cellule della buccia provocando un’intesa solubilizzazione non solo dei precursori aromatici contenuti nel vacuolo ma anche di quelli legati alle strutture solide. I vini trattati con EnartisZym Arom MP presentano un profilo olfattivo caratterizzato da intensi aromi primari, grande complessità e persistenza. L’attività proteasica secondaria migliora la stabilità proteica e riduce il dosaggio di bentonite del 20-25% (grafico 1).
Applicazione: macerazione delle uve bianche e rosse; produzione di vini bianchi, rossi e rosati molto fruttati; migliora la stabilità proteica
Dose: 2-4 g/q
Packaging: 250 g – 1 kg

Grafico 1: Effetto di EnartisZym Arom MP sulla stabilità proteica.
Di seguito sono riportati i risultati di vini trattati dopo test a caldo (2 ore a 80 ° C). Il vino risulta stabile proteicamente quando la variazione della densità ottica a 540 nm è inferiore a 0,02.
BLU: vino ottenuto da uve trattate con EnartisZym Arom MP durante la macerazione.
VERDE: vino ottenuto da uve trattate con EnartisZym Arom MP durante la macerazione e aggiunto di EnartisPro FT all’inoculo del lievito.
ARANCIONE: vino testimone ottenuto da uve trattate con enzima pectolitico. I risultati sono medie di tre repliche. Il trattamento con EnartisZym Arom MP ha aumentato la stabilità proteica del vino.

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